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e non v’ha dubbio ch’essa fu ricopiata da qualche altra di Cuma. (Avellino, Opusc. tom. II, p. 39, tav. 3, n. 2-3), il di cui popolo rifabbricò la nostra città dopo averla distrutta (lutat., ap. philargyr. ad Geor. IV, v. Parthen.). La conchiglia avendo in entrambe la stessa forma dell’ostrica, conferma l’opinione del ch. Millingen, che la credette quella del Lucrino, cotanto dagli antichi celebrata (Médailles grecq. inéd. p. 5).


ARPI in APULIA.


T. di Apollo laureata e volta a d.

Rov. NAΠA. Lira, arg. 2, tav. I, n. 4.

Il disegno che dal Carelli volea darsi di questa stessa medaglia, vedesi chiaramente esser stato ricavato da uno sconservato esemplare, in cui eran scomparse nella leggenda del riverso le lettere Π ed A. In questa la t. coronata di Apollo è molto simigliante a quella delle incerte monete con l’epigrafe IDNO, spettanti forse ad una città di simil nome nelle vicinanze di Salerno, dove è noto che scorre tuttora il fiume Irno (giustiniani, Dizion. parte II, tom. II, p. 66). La lira nel riverso è di quelle, che per la loro incurvatura a modo di falce, furon poi dette dai latini harpae ab ἅρπη, secondo quel di Venanzio:

Romanusque lyra, plaudat libi Barbarus harpa
(Carm. l. VII, n. 8, v. 63).


Nel didramma, ove per errore il ch. Millingen ha letto ΔΑΤΟΥ in luogo di ΔΑΟΥ (Consid. sùr la num. de l’anc. It. p. 153), si osserva al di sopra del cavallo una stella, ch’è appunto la costellazione ἅρπη, che vedesi rotare nella destra di Perseo, per cui fu detto da’ poeti: εἰς τὴν ᾶρπην καταστερίζονται, secondo ha osservato lo Stefano (Lex. p. 2257 ed. Barcker.). Il Millingen ha pubblicata questa moneta, come spettante ad Arnae della Calcide (Sylloge p. 43).