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col busto di donna da una parte e tre fiori di giglio dall’altra. Sembra che il fabbricatore del conio fosse Giacomo Brandi compagno del predetto Domenico, il quale fu pure in Tassarolo, e faceva le monete di diversi luoghi, che poi erano battute dall’Alessandro1. Io trovai nell’Archivio dei Notai di questa città tra gli atti di Giovanni Ferrari una scrittura dalla quale apparisce, che i luigini coniati in Tassarolo erano spediti ad un certo Mistura

  1. Trascrivo le parole colle quali il Cardinale La Marmora riferisce cotale processo: « 1.° settembre Masserano — Memorie tratte da un processo giudicialmente fatto nanti il Delegato Bernardino Guala. Il Procuratore Fiscale generale Torazza espone d’essersi battute monete false, cioè: sesini, mezzi crosazzi, mezzi soldi, quarti di lire di Savoia, quarti di lire di Modena, e mezze doppie genoine, e se ne incolpa Giacomo Brandi intagliatore delle stampe, Mr. Gio. Domenico d’Alessandro, il signor Rocco Secchia, e come crime di lesa maestà manda procedersi ecc. — Erasi già dal Principe pubblicato ordine contro i Monetarii falsi — Angelo Maria Corino nipote dell’Alessandro depose d’avere in sua compagnia battuti sesini e mezzi soldi di Savoia in un fornello della cucina nella quale sotto un mattone teneva le stampe coll’impronto, e crosazzi di lire di Modena, mezze doppie genoine, mezzi soldi di Savoia, e sesini di Milano; e le stampe dei mezzi soldi, mezze doppie genovine, quarti di lire di Savoia erano a castagnette, quali tenevano vicino al pozzo del Brandi. Facevano anche mezzi crosazzi e lire di Modena nascondendo le pietre ove gettavasi le materie e li ferri nel giardino, or qui or là. Il Secchia entrava nella spesa, e li portava in Vercelli e Gattinara. Usavano un ceppo di piombo per fare meno rumore. Si portavano in un luogo tra Mortigliera, Curino e Masserano, dove dicesi alla Piana di Saluzzola, colla materia bianca già tutta preparata per i sesini. Il Secchia si costituì nella zecca a Crevacuore, di cui era Mastro il signor Carlo Francesco Marcenaro di Biella. Vi fu Antonio Guaviella che rubò. L’Alessandro dopo d’avere lavorato nella zecca