gnifica Dio) il sole nel tramonto si chiama Pûshan, propriamente il nutritore. Di Pûshan è detto ch’egli è purûvasu o ricchissimo, Vâg’in o fornito di cibi, Viçvasaubhaga o recante tutte le benedizioni, mayobhû o benefico, mantumat o ricco di consigli, viçvavedas od onnisapiente, çakra tura, tavyas, tuvig’âta o forte, potente. Ma vi sono ancora due appellativi di Pûshan che mi sembrano specialmente singolari ed importanti. Egli ci è rappresentato ancora come Pathaspati o signor della via, o proteggitor de’ viandanti, e come paçupâ o guardiano di armenti di pecore, o pastore. Nell’ora del giorno che intenerisce il cuore ai naviganti, nell’ora del giorno in cui l’arabo del deserto si arresta e mormora, rivolto verso il sole moribondo, in silenzio, la sua preghiera, in cui il penitente indiano si sprofonda maggiormente nella sua meditazione, in cui celebra il sacrificio vespertino, il Dio Pûshan rappresentato, con uno stimolo in mano, spingeva egli pure i suoi armenti celesti nelle stalle divine. Nulla di più poetico, nulla di più pittoresco del nome dato dai poeti vedici all’ârâ, o stimolo del divino pastore del Dio Pûshan, ossia all’ultimo raggio allungato del sole moribondo. Quello stimolo è chiamato, in lingua vedica, brahmac’odanî, che vuol dire precisamente, risvegliante la preghiera. Quando il pastore celeste Pûshan adoprava il proprio stimolo divino per fare entrare nella stalla il suo bestiame celeste, il pastore della valle del Kaçmîra stimolava egli pure il proprio bestiame al ricovero, per supplicare il pastore divino affinchè, com’egli lìbera sè stesso