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Il fuoco. 69

tire, in un accento di disperazione grida che vorrebbe precipitarsi dalla rupe e trovar subito nella morte un fine alle sue pene. Prometeo le fa allora coraggio, invitandola a contemplare lui stesso, che la parca condanna a soffrir sempre e a non morir mai, a non morire almeno fin che non verrà a liberarlo il tredicesimo discendente della stirpe d’Io, della stessa fanciulla amata da Giove, da Ercole. Allora Giove sarà precipitato dal suo seggio divino, se Prometeo stesso non arriverà in suo soccorso. Alle ninfe quel vaticinio pare audace troppo, ed esse già temono per Prometeo che osò tanto. Prometeo risponde che un uomo che non può morire non ha da temer nulla. Le ninfe soggiungono che Giove lo tormenterà di più. Prometeo prevede pure i nuovi tormenti e sta già preparato a riceverli. Le ninfe trovano Prometeo imprudente; ma il titano risponde disdegnosamente:

Blandisci, invoca,
Adora pur chi regna; a me di Giove
Men che nulla ne cale. Opri, comandi
Fin che tempo gli resta, a suo talento,
Già non a lungo avrà su i numi impero.

Egli ha detto appena, che Giove gli manda il suo alato messaggiero, la spia degli Dei, Mercurio che viene tosto a domandare in nome del suo padrone, a Prometeo, in qual modo ei pretende sapere che Giove cadrà dal trono. Ma Prometeo tratta Mercurio, spia di governo, con quel disprezzo che dovea sentire per tal razza di gente un libero poeta ateniese, che, forse nello sferzar