pure ei non conosce ancora arte alcuna che possa liberarlo dai mali che Giove gli inflisse. Nè egli rammenta ancora tutto ciò ch’egli potè fare a pro degli uomini, come i rimedî, l’arte di spiegare i sogni, di dichiarare i vaticinî oscuri, di scoprire i tesori nascosti nella terra. Le ninfe lo pregano allora di non volere, per amor de’ mortali, trascurar troppo sè stesso, ed esprimono la loro fiducia che Prometeo si troverà un giorno sciolto da’ suoi ceppi. Ma Prometeo prevede ancora lontano quel giorno, per volere del Fato cui Giove stesso è sottoposto. Allora vien curiosità alle ninfe di sapere se l’impero di Giove dovrà essere eterno. Ma Prometeo non vuol rispondere; egli sa che il parlare è un rivelare a Giove il segreto che dovrà perderlo, e per cui Prometeo sarà un giorno liberato. Egli si chiude dunque nel suo silenzio, sicuro di sè, sfidando l’ira di Giove, che egli non vuole in alcun modo vituperare. Le ninfe oceanine osservano allora a Prometeo che invano egli ama ed onora gli uomini, poichè questi non valgono a mutare la mente di Giove. Appena le ninfe hanno finito di parlare, arriva la infelice Io, la fanciulla cornuta, altra vittima, non dell’odio, ma dell’amore di Giove, che un assillo perseguita e caccia dolorosamente di terra in terra, fino alle estreme plaghe del mondo conosciuto, per volere della vindice Giunone, che fa spiare di continuo la fanciulla dal bifolco celeste Argo dai mille occhi, che ci ricorda il vedico Indra Sahasrâksha, ossia il cielo dai mille occhi, il cielo stellato. Io è la luna cornuta, continuamente errante pel cielo. Arriva a