nano, e Prometeo, rimasto solo, incomincia il suo lamento. Egli si lagna che essendo Dio, riceve tal pena e dice il motivo del suo supplizio: «perchè agli uomini feci doni, in queste difficoltà miseramente mi trovo involto; e perchè presi la ferula, furtiva sorgente del fuoco, maestra d’ogni arte agli uomini, ed utilissima, tali pene per tali delitti sconto stando così legato sotto l’aperto cielo.» Ma pel Greco, ai tempi di Eschilo, la natura aveva tutta un linguaggio umano. Prometeo solo, in mezzo all’orrore delle rupi scitiche, ascolta le voci della natura, che fanno coro pietoso al suo gran dolore. Ad un primo strepito d’ali, Prometeo teme già che s’accostino i nefasti avoltoi per lacerargli le carni; ma sono invece le pie ninfe oceanine, volate a lui sopra un carro alato, per consolarlo. Esse hanno una viva simpatia pel titano castigato, e con due versi che tradiscono un intendimento non solo satirico, ma politico, deplorano che «nuovi governanti occupino ora l’Olimpo, e che Giove iniquamente imperi con nuovi decreti». Le ninfe oceanine son donne, ed ogni donna gentile sente naturalmente la pietà per gl’infelici oppressi, l’odio per gli oppressori; le ninfe oceanine, odiano il nuovo Giove: «Qual è, domandano esse, tra gli Dei quello che abbia cuore così duro da trovar simili cose gioconde? Quale può non compatire a’ tuoi mali, se si tolga Giove, che ne’ suoi sdegni inflessibili governa la schiatta urania?» Prometeo annunzia allora che Giove avrà un giorno bisogno di lui per sapere com’egli sarà un giorno spogliato del proprio scettro. Le ninfe lo avver-