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Il fuoco. 59

da Dio precipitato nell’abisso. È a questo punto che lo incontra il genio di Eschilo, per farne il tipo del ribelle immortale indo-europeo, come Satana, Lucifero rimase il gran ribelle semitico, ravvivato poi dalla fantasia de’ poeti cristiani. E come lo raffigurò il poeta Eschilo rimase poi quel tipo nella fantasia popolare ellenica e nella nostra, assai remoto certamente dal primo tipo vedico. Rileggiamo dunque insieme il dramma di Eschilo. S’apre con un dialogo tra Vulcano e la Forza. Vulcano, per ordine di Giove, viene a inchiodare i ceppi che legano Prometeo alla rupe. Vulcano sente la pietà; sa che Prometeo è egli stesso un Dio cognato, e prova un certo ritegno nell’obbedire al comando di Giove, tanto più che gli è ben noto come non sia ancora neppur nato chi porrà un fine ai mali del titano punito. Vulcano non ignora che Giove, nuovo tiranno, sarà sordo ai lamenti di Prometeo. La Forza, che rappresenta il potere di Giove, rimprovera la sua pietà a Vulcano, a Vulcano cui veramente Prometeo rapì quel fuoco di cui egli doveva più d’ogni altro nume mostrarsi custode geloso. Vulcano si scusa, dicendo ch’egli infine sente i vincoli della parentela. Ma la Forza ripete che supremo dovere è obbedire a Giove, il solo degli Dei che sia veramente libero, e sollecita Vulcano a terminar prestar l’opera sua. Vulcano cede di mal animo, gemendo, per i dolori del titano, e, spinto sempre dalla Forza, inchioda le mani ed i piedi dell’amico degli uomini che dispiacque a Giove. Quando egli è tutto fermato indissolubilmente alla rupe, Vulcano e la Forza si allonta-