in aria vive scintille, gli Indiani immaginarono pure il cielo come una gran fucina ove il fabbro divino Tvashtar suscita continuamente il fuoco e somministra specialmente le armi ai combattenti nella gran battaglia titanica, nella quale gli Asurâs demoniaci cercano impadronirsi della sede dell’ambrosia, dell’Olimpo vedico, onde Indra li fulmina, come Giove, nella Titanomachia, atterra i giganti. Ma Tvashtar, come Hefesto, come Vulcano, è un nume informe, mostruoso, mobile, che muta continuamente d’aspetto, e sfugge alla nostra analisi. La sua persona non è vivace e ben determinata, oscura quasi ed impersonale, come il genio del nume creatore che si muove nel caos. Nel dire pertanto che il Dio Agni, ossia il fuoco, era figlio di Tvashtar ossia del fabbro divino, la cui curiosità del popolo che cantava gli inni vedici non poteva rimaner soddisfatta. Si cercarono pertanto altre cagioni all’origine del fuoco. Si vide, per un esempio, come, sulla terra, picchiando una pietra contro l’altra si sprigionava talora il fuoco; allora paragonandosi ora il cielo, ora la nuvola ad un gran monte, ad una gran roccia, ad una gran pietra, vedendosi come nasce in cielo la luce, come si muovono i lampi, si immaginò che due pietre, probabilmente la pietra luminosa (Dyaus) e la pietra larga (Pr'ithivi) picchiandosi, per opera del Dio Indra, producessero il fuoco. L’inno primo del secondo libro del Rigveda canta in vero, che Indra generò il fuoco fra due pietre o rocce. Nel vero, in quanto il Dio Indra non sia il precursore di Brahman creatore del mondo, il signore del cielo, ma il nume to-