Anyatahplaksha pieno di ninfe, e mentre il re passeggiava sopra la sue rive, le ninfe scherzavano nell’acqua in forma d’uccelli, certamente cigni (i quali in parecchie novelline li vediamo portar via le vesti dell’eroe o della eroina, o in altre molte portar via lo stesso eroe o la stessa eroina; i cigni negli inni vedici trasportano pure il carro solare). Allora Urvâçî scorse il re, e disse: «Ecco l’uomo con cui ho abitato per tanto tempo.» Dissero allora le compagne: «Mostriamoci ad esso.» Urvâçî consentì e le ninfe si manifestarono. Allora il re le riconobbe e disse: «Oh sposa! resta, crudele; parliamo un poco. I nostri segreti, se noi non li riveliamo ora, non ci porteranno più tardi fortuna.» Essa gli rispose: A che parlarmi? Io sono arrivata come per la prima delle aurore. Purûravas, ritorna nella tua dimora. Io sono come il vento difficile ad essere raggiunta.» — «Se è così, rispos’egli dolorosamente, se è così, il tuo primo amico cada ora per non ridestarsi più; se ne vada egli lontano, lontano; cada egli come corpo morto; gli avidi lupi vengano a divorarlo.» Essa gli rispose: «O Purûravas, non morire, non cadere, non ti divorino i lupi...» La ninfa celeste alfine s’intenerì e soggiunse: «Torna da me l’ultima notte dell’anno.» L’ultima notte dell’anno egli si recò alle auree sedi, e quando vi fu salito, i gandharvi gli mandarono la ninfa Urvâçî. Allora essa disse: «i gandharvi ti permettono di esprimere un voto ch’essi soddisferanno; eleggi.» Purûravas allora: «Eleggi tu per me.» Ed ella: «Allora dirai ai gandharvi: permettetemi di essere uno di voi.»