luoghi d’Italia di porre vicino al morto una scodella piena d’acqua, che certamente deve servire di viatico all’anima. Negli inni vedici, la medichessa celeste ora, appare l’aurora luminosa, ora una Sarasvati, propriamente l’ondosa, l’acquosa, la fornita di scorrevolezza, che ora rappresenta l’aurora, ora la nuvola; entrambe si muovono, entrambe splendono, o per i raggi del sole o per i lampi che l’attraversano; dell’una stillano benefiche rugiade; dall’altra pioggia fecondatrici. Invocata col Dio Varuna, re delle acque (apsu râg’ â) la Sarasvatî accresce con la virtù magica riposta nelle sue acque vigore agli uomini ed agli Dei. La bevanda d’Indra o Indrapâna è l’acqua ravvivatrice della Sarasvatî celeste. Come l’aurora che si muove è paragonata nel Rigveda ad una bella fanciulla, ad una ballerina celeste, così le onde del cielo aurato, e le onde pluvie della nuvola parvero fanciulle saltellanti. La linfa diventò ninfa; le onde o acque scorrenti si chiamarono naturalmente nel linguaggio vedico apsarâs; ma la parola apsarâs può anche interpretarsi le scorrenti sulle acque; si videro quindi nelle nuvole, nelle onde, delle naiadi che danzano sulle acque, le quali si ritrovano poi in vario aspetto in quasi tutte le tradizioni e credenze indo-europee, con aspetto ora benigno, ora fallace e sinistro. Le apsare sono le ninfe; ma presso la nuvola femmina, fu supposta la nuvola maschio; presso la nuvola danzante una nuvola tonante, presso una ballerina celeste, un musico celeste, presso l’apsâra un gandharva (un centauro), parola che secondo, l’etimologia, sembra