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Il cielo. | 19 |
gran libro sopra il quale viene fatalmente segnato il destino degli uomini.
Ad un dotto rabbino, Jochanan ben Zachai contemporaneo di Vespasiano, s’attribuiva, nel medio evo, questo motto ambizioso: «se tutti i cieli fossero pergamene e tutti i figli degli uomini scrittori, e tutti gli alberi della foresta penne, non potrebbero bastare a trascrivere tutto quello che ho imparato». L’immagine è forse d’origine biblica. Il motto: Cœli enarrant gloriam Dei mi sembra pure supporre che il cielo siasi immaginato come un libro od un foglio sopra il quale le glorie di Dio si trovano naturalmente descritte. Perciò un rabbino del secolo undecimo. Mir ben Isaak, in un suo canto ebraico-aramaico, lasciò pure scritto: «Se i firmamenti fossero pergamene e tutti i giunchi penne, e tutti i mari e tutti i laghi inchiostro, e tutti gli abitanti della terra scrittori esercitati, non basterebbero a descrivere la maestà del signore del cielo e del principe della terra». Nel Talmud si legge: «Se tutti i mari fossero inchiostro, tutti i giunchi penne, tutto il cielo una pergamena, e tutti i figli degli uomini scrittori, non arriverebbero a scrivere i sentimenti segreti del cuore di un re. Nel Corano l’adagio appare monco, poichè non si rammenta nelle due volte in cui vien citato il cielo di carta, ma soltanto il mare d’inchiostro. Un canto popolare neo-greco col quale si accorda intieramente un canto serbo, suona così: «Io prendo il cielo come carta, e il mare come inchiostro, non arrivo a descrivere le mie pene.» In un altro canto greco l’amante, per scrivere alla sua bella senza fine, adopera il cielo