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Il cielo. 17

mente manifesta. Così il mito vedico si è continuato nell’epopea del Râmâyana ove Hanumant, il figlio del vento, venne co’ suoi compagni scimii a ripetere sulla terra indiana contro i mostri, contro i rakshasi, le battaglie combattute intorno ad Indra nell’Olimpo vedico dai venti Marut, contro i demonî rapitori di donne, di vacche e dell’ambrosia divina, ossia della luce e della pioggia. Come il cielo è supposto autore di ogni cosa creata, la fantasia popolare lo ha grandemente animato. Come abitato dagli Dei, è una reggia divina, un Olimpo, un Paradiso; quando gli Dei combattono è un campo di battaglia; quando il sole lo accende, una fornace ardente, una fucina, o pure anche un campo di biade d’oro; quando è fiorito di stelle, un giardino incantato, una sala da ballo, una chiesa coi ceri accesi, un ricco padiglione, una splendida prateria; quando le tenebre le nuvole lo ingombrano, una selva scura, un labirinto, un mare profondo; la luce d’oro che piove dal cielo è farina; la rugiada è miele che stilla, o ambrosia; il sole e la luna ora s’amano, ora s’odiano, ora son fratelli, ora sposi, ora rivali, ora nemici; le aurore sono ora fidanzate del sole, ora madri benefiche, ora sorelle, ora guidatrici di cavalli, ora pastorelle, ora ballerine, ora donne guerriere, ora ridestatrici ed eccitatrici degli uomini all’opera; le nuvole ora sono ninfe, ora ballerine, ora musici celesti, ora botti, ora fortezze, ora montagne, ora vacche, ora donne, ora streghe, ora mostri; gli esseri celesti ora strisciano come rettili, ora nuotano come pesci, ora corrono come cavalli, ora volano come

De Gubernatis. 2