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96 Mitologia comparata.

sempre alla pochezza dell’uomo, e alla sua grande miseria innanzi alla natura; egli derideva pur sempre all’essere mortale; ma in questa meraviglia stessa che suscitava ancora in lui l’aspetto d’un cielo stellato, noi abbiamo una prova che il sentimento d’armonia religiosa che governa la natura aveva vinto e domato anche lui. Perchè mai egli così terribile scettico intorno alle cose dell’umanità, levando gli occhi al cielo volle tornar poeta, e, non figurando più gli altri mondi ad uno ad uno, come stupide inerte moli ove la creatura patisce e geme come sulla terra, si sollevò egli nel concepimento ideale di un tutto più alto e più perfetto che si dilata per gli spazî infiniti quasi a confondere ed umiliare la miseria nostra? Quanto manca più perchè quest’uomo il quale sente la divina maestà del creato, e la solenne armonia che diffonde come in un tempio infinito la luce serena e tranquilla delle stelle, non curvi i ginocchi riverente ed adori?

Così la celeste lira d’Orfeo, la lira febea, il flauto divino, l’armonia delle sfere che, secondo il mito, ebbe virtù di trarsi dietro tutta la natura animata e inanimata, rinnovando il suo magico portento, viene a tentare il gelido petto del più disperato e disperante fra i nostri poeti, e lo costringe, nuovamente e per l’ultima volta, meravigliato e commosso, al canto.