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Chiarini afferma l’esistenza in Firenze e delle sue ramificazioni in Toscana. La trova ordinata in diciassette famiglie ad imitazione delle vendite dei carbonari ed avente per programma la libertà, l’indipendenza e l’unità d’Italia, intendendo per libertà un governo repubblicano democratico. Prestavano gli affiliati il seguente giuramento: „Giuro sull’onore di fare qualsiasi sacrificio, anche quello della vita, per l’indipendenza, l’unità e la libertà repubblicana democratica d’Italia e d’essere fedele ai principî e ai segreti dell’associazione.„ — Un altro rapporto dello stesso Chiarini ci rivela il nome del capo dei Veri Italiani — il nobile Amerigo Cerretani. Appartenevano alla sètta (secondo la polizia) il marchese Gino Capponi, il marchese Cosimo Ridolfi, l’avvocato Vincenzo Salvagnoli, Alessandro dottor Barberini, Ciriaco Domenichelli. Naturalmente, nei rapporti dell’ispettore, che scriveva le sue relazioni sopra informazioni attinte a fonti sospette e venali, il vero dava la mano al falso, e della storia delle sètte in Toscana si avrebbe un idea parecchio inesatta, se non addirittura immaginaria, se le notizie soffiate da una spia all’orecchio d’un ispettore di polizia si dovessero prendere per oro di diciotto carati. Che il Salvagnoli, il quale sentiva italianamente e non faceva mistero dei suoi sentimenti liberali, facesse parte dei Veri Italiani, non stentiamo a credere, anche in vista dello imprigionamento da lui sofferto insieme ad altri in quell’anno, e del processo per cospirazione che ne seguì; benchè i giudici, malgrado gli sforzi fatti dalla Polizia per mettere insieme gli estremi del reato di cospirazione, prosciogliessero dalla grave accusa gli imputati; ma ciò che noi stentiamo a credere è che il marchese Gino Capponi e il marchese Cosimo Ridolfi abbiano fatto parte d’una società segreta democratica e per giunta repubblicana, sopratutto in un tempo in cui i due illustri gentiluomini fiorentini, che si distinguevano per il loro liberalismo all’acqua di rose, cessando di fare i frondeurs, come diremo in altro luogo, s’erano ravvicinati alla Corte, non senza sfuggire ai commenti parecchio maligni dei loro correligionari, non escluso il marchese Pietro Torrigiani. Certamente eglino, specie il Capponi, non godevano