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CAPITOLO VII.
Le Sètte — La „Giovine Italia.„
Dopo la sètta dei Carbonari, altre sètte non attecchirono profondamente in Toscana, meno in Livorno, dove dopo il 1830, la gioventù impaziente del giogo patriarcale di casa Lorena, e fremente di libertà e d’indipendenza, raggruppatasi intorno a Francesco Domenico Guerrazzi, a Carlo Bini, a Pietro Bastogi, ad Enrico Mayer e ad altri che nelle posteriori vicende politiche uscirono da quell’oscurità in cui allora erano avvolti, fu in comunione d’idee e d’aspirazioni con Giuseppe Mazzini, il quale, esule in Isvizzera, quivi aveva fondata la più potente e più temuta associazione segreta, che, dopo quella dei Carbonari, abbia stretto nelle sue spire l’Italia liberale — La Giovine Italia.
La Toscana, dove il Governo non aveva rinunciato del tutto al patrimonio glorioso di riforme civili lasciatogli da Pietro Leopoldo — dove la Polizia non annoiava che il meno possibile — dove i liberali di quasi tutta l’Italia cacciati dai loro governi trovavano un asilo generoso — dove la manifestazione del pensiero benchè frenata dalla censura, pure non trovava gli ostacoli insuperabili che le si opponevano a Roma, a Napoli, a Milano, a Torino — dove per dodici anni uno stuolo di chiari e forti intelletti potè bandire il verbo di un temperato progresso dalle pagine dell’Antologia — la Toscana, diciamo, meno Livorno, rimase quasi estranea al movimento sotterraneo che, auspice il Mazzini, abbracciò tutta l’Italia. Qua e là vi furono affiliati alla Giovine Italia, e qualche piccola associazione più o meno derivante dalla mazziniana fu anche tentata nella stessa Firenze, per esempio quella dei Veri Italiani. Di quest’ultima un rapporto del giugno del 1833 dell’ispettore di polizia Giuseppe