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cortezza e zelo perchè non si diffondessero, soggiungeva d’esser lieto di constatare come la sètta non avesse fatto che dei guasti assai superficiali. L’esercito era rimasto quasi immune dalla lue rivoluzionaria, mentre le misure adottate a tale riguardo s’erano limitate a destituire un tenente, un certo Baldini, perchè sospetto di far parte d’una vendita; misura che, presa a tempo, fece capire ai cugini come il governo non dormisse. Qualche altra misura d’indole economica fu presa, sempre allo scopo di sradicare, o per lo meno, d’arrestare ed isolare il male: parecchi giovani praticanti legali furono rinviati ai genitori perchè li sorvegliassero; alcuni stranieri vennero sfrattati; altri furono chiamati dallo stesso presidente del Buon Governo, il quale, fatta loro una seria paternale, ebbe da essi promessa che non si sarebbero più immischiati di politica; infine, si arrestò un prete e un avvocato, i quali fecero importanti rivelazioni. Misure certamente miti, paterne, come portava l’indole dello stesso governo: e non pertanto esse, nei più, incussero una salutare paura. La sètta rimase sconcertata; i buoni ripresero animo. Ma il pentimento dimostrato dagli affiliati al Puccini non pareva sempre sincero. Il fumo covava sotto le ceneri. Intanto gli avvenimenti incalzavano nel resto della penisola. Il Piemonte era in fiamme; Napoli era un vulcano; nelle Romagne, nei Ducati non si stava meglio; si iniziarono per mezzo del commissario di Santa Maria Novella delle nuove processure economiche, le quali portarono ad alcuni arresti. Ma dai procedimenti si rivelò subito che se idealmente iniziati erano pochi, i sospetti erano molti ed appartenenti anche a famiglie rispettabilissime. Arrivato a questo punto il Puccini, il quale, checchè ne abbia detto in contrario lo Zobi1, nel suo ufficio di capo della Polizia non portò nessu-

  1. Fra gli inserti dell’Archivio Segreto del 1846 ne esiste uno che si riferisce precisamente allo Zobi, che il presidente del Buon Governo d’allora, Giovanni Bologna, in una sua nota riservatissima al Pandolfini, console generale di Toscana a Roma, presenta sotto una luce poco favorevole. Non gli nega però nè ingegno, nè coltura: ed aggiungo che avendo avuto dal Governo la concessione di scri-