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per la città, che fosse materia di discorso in un pubblico ritrovo in un circolo privato, perchè subito fosse raccolto con una passione da collezionista; poco poi importando al cronista-poliziotto che quella sua cronaca cogliesse in pieno petto l’onore e la riputazione d’un alto magistrato, d’un funzionario di corte, d’un ministro, o d’una signora della aristocrazia. S. E. Fossombroni e Tommaso Sgricci, il primo, ministro, e il noto poeta dai costumi infami, erano uguali dinanzi alla cronaca del poliziotto, la quale colla stessa imparzialità registrava la satira non sempre attica, non sempre urbana, che un Giovenale da strapazzo lanciava contro il primo, e l’epigramma che bollava con ferro rovente il secondo; i cartelli che portavano scritto: Morte a Leopoldo II, e i giudizi per nulla lusinghieri che il pubblico dava sugli atti e sulle persone del governo; le debolezze di cuore d’una donna ammessa all’intimità della corte, e le divagazioni nel regno di Venere d’una virtuosa celebre o d’una diva del mondo equivoco.

È proprio il caso d’esclamare: — Dinanzi al rapporto segreto d’un poliziotto, non vi sono distinzioni nè di nascita, nè di grado, nè di colore politico; tutti gli uomini sono uguali.

Un’égalité... da polizia segreta!

Abbiamo detto che la penna degli agenti della polizia, nelle loro cronache, non risparmiava nessuno, nemmeno i ministri. Ecco come il Commissario regio di Firenze, in un suo rapporto riservatissimo al presidente del Buon Governo, in data del 20 aprile 1844, parlava del primo ministro del Granduca, il conte Vittorio Fossombroni, morto allora.

Il Commissario regio, ch’era il Tassinari, dopo d’aver detto come grande fosse il cordoglio della città per la perdita del grand’uomo, aggiungeva: „Ma siccome anche i grandi sono uomini e tutti gli uomini hanno le loro debolezze, le debolezze del conte Fossombrosi si sono rese pa-