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i precedenti di governo era facile la conversione, nicchiava maledettamente; e mentre col facile entusiasmo di quel tempo lo si acclamava principe liberale, egli manteneva all’impiedi il vecchio edificio politico con tutte le sue antipatie, le sue vendette e i suoi rancori. Dinanzi alla crescente popolarità di Pio IX, egli ristabiliva (settembre 1846) la Legazione toscana a Roma1, ma la sua Polizia, poco dopo, cacciava in prigione alcuni giovani non d’altro colpevoli che d’aver voluto celebrare il primo centenario della cacciata degli austriaci da Genova, accendendo dei fuochi sulle colline che fanno corona a Firenze2. Benchè nella via delle promesse di riforme non fosse stato secondo che al solo Pio IX, pure contro i principali preparatori del movimento, che aveva reso possibili quelle promesse e quelle riforme, conservò una ripugnanza diremmo quasi inesplicabile in un principe che non aveva avuto paura anni prima d’accordare l’ospitalità ad un Pietro Colletta, ad un Giuseppe Poerio, a un Gabriele Pepe. Così la sua Polizia non volle che Giuseppe Massari, benchè raccomandato caldamente al Bologna dal conte Ilario Petitti, mettesse piede in Toscana circondando il suo rifiuto di scuse l’una più magra dell’altra, ma in fondo, perchè impaurito d’aver letto il nome del Massari in una nota di persone trovata addosso ad un tale che si sospettava po-

  1. Fu nominato a quel posto il cav. Bargagli, uomo di nessuna levatura. Presentando le sue credenziali al nuovo papa, egli volle complimentarlo in latino ed incaricò della redazione dell’indirizzo un gesuita, il quale, malignamente, v’incastrò parole e frasi, ch’erano delle punture pel papa che gl’Italiani in quei giorni acclamavano. Il povero plenipotenziario recitò tutto e s’acquistò fama d’asino.
  2. L’idea di celebrare con fuochi quel centenario fu suggerita ai liberali toscani da Parigi, e precisamente da Terenzio Mamiani, il quale ne scrisse al Salvagnoli. La lettera cadde nelle mani della Polizia, che al suo solito, per mezzo del Gabinetto Nero, ne prese copia; e quando pochi giorni dopo il filosofo pesarese supplicò il Granduca che gli accordasse il permesso di soggiornare in Toscana, il Bologna si ricordò di quella lettera ed ottenne che le porte del Granducato restassero chiuse al Mamiani. Vedi il nostro articolo: Terenzio Mamiani nel Fanfulla della Domenica del 9 dicembre 1888.