girò sino a Roma e della quale, a titolo di saggio, offriamo
ai nostri lettori le seguenti strofe:
Io vidi e scrivo. Oh! martiri
D’Italia, di Polonia e del Vangelo,
Vergini sante, cui gittava il barbaro
Ove congiura coi tiranni il gelo,
Entro i calici sacri un’altra volta
Il vostro sangue fu venduto ai Re.
Popol fanciullo, quel che vidi ascolta;
Poi vanne e bacia dei tuoi santi il piè.
Era dorato e splendido
Di mille candelabri il Vaticano;
Torba la disdegnosa onda del Tevere
Muggiva, e il tuon le rispondea lontano.
Scheletri informi apersero le tombe
Da più secoli chiuse e via fuggîr;
Per tutto risuonâr le catacombe
Di gemiti echeggianti e di sospir.
Fra salmeggianti cantici
Entrar due regi a solitaria festa,
Qual rovente metallo orride splendono
Le mitre coronate in sulla testa.
Fugge all’alito lor l’aura commossa,
Manda ogni face un tremolo balen,
E dei lor vestimenti ad ogni scossa
Gronda pioggia di sangue in sul terren.
Torvo lo sguardo e pallidi
Stettero all’ara su gemmate sedi,
Colmâr di vino banchettando i calici,
E a tracannarlo si levâro in piedi.
L’un disse: — Il regno della spada è mio.
— Mio, disse l’altro, è il regno del pensier.
— Noi siam quaggiù l’imagine di Dio....
— Su, dividiamci l’universo inter.
Pietà! Contempla di Varsavia il danno;
Della tua croce siam caduti al piè.
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