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CAPITOLO XXXV.

Luigi Napoleone Bonaparte
in Toscana.

Quando Napoleone III, alla testa del suo esercito, varcò le Alpi e venne in Italia a combattere la guerra della nostra indipendenza, egli non poteva dirsi estraneo ai moti rivoluzionari che avevano agitato negli anni innanzi la nostra penisola.

Imperocchè, prima di cingere la corona imperiale, egli era stato cospiratore, e il suo nome si trovava già associato a quello di coloro che fra il 1831 e il 1848, nei tempi in cui in ogni italiano si nascondeva un congiurato, s’erano adoperati per redimere la Magna Parens dalla servitù indigena e straniera.

Come tutti sanno, nei moti che precedettero in Romagna l’elezione di Gregorio XVI papa, il principe che vent’otto anni più tardi doveva dire agli Italiani: „Siate oggi soldati per esser domani cittadini d’una grande Nazione„ combattè bravamente, accanto al fratello maggiore, i soldati pontifici; ma ciò che forse nessuno conosce è che, non appena egli fuggì, nel 1846, dal castello di Ham, il suo primo pensiero fu quello di consacrarsi alla resurrezione d’Italia — di questa terra ove egli aveva passato i migliori giorni della sua vita, quelli della giovinezza, che insieme ai Lungarni fiorentini inondati di sole e alle ville romane ripercotenti il rumore delle cascate delle loro fontane e dei loro laghi, gli ricordava la gentile ospitalità di cui i suoi abitanti furono sempre larghi verso la famiglia proscritta del grande imperatore.

È questo un episodio della vita di Napoleone III affatto ignorato e che noi narreremo sulla scorta dei documenti dell’Archivio Segreto della Polizia Toscana.