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te giorni prima che il Bologna diramasse la nota sopra riportata, ne informava il Buon Governo nel modo seguente: „Il dott. Giusti ha fatto stampare alcuni versi, preceduti da una dedicatoria alla marchesa d’Azeglio, ove appunto contiensi una protesta per dichiarare che non riconosce per sue la maggior parte delle poesie stampate nell’edizione del 1844.„
Ma la dichiarazione del Giusti era stata più esplicita; anzi così esplicita, da metterlo addirittura al sicuro di qualsiasi molestia da parte della Polizia.
Imperocchè, egli non rinnegò la maggior parte delle poesie dell’edizione clandestina, la quale dichiarazione, in ogni modo, avrebbe sempre lasciato il dubbio sul numero e sul carattere delle poesie da lui non riconosciute per farina del proprio sacco; ma rinnegò precisamente tutte le poesie di carattere politico contenute nell’edizione clandestina de’ suoi versi, come si scorge chiaramente dalla stessa dedicatoria alla moglie di Massimo d’Azeglio: „Tre di queste composizioni (composizioni che non avevano nulla da fare colla politica), sono state piantate là alla piena libera in un certo libro coniato di fresco (Poesie Italiane tratte da una stampa a penna), sul quale, per dirla alla popolana, entravano come il cavolo a merenda. Chi si sia preso questa scesa di testa di accodare gli scritti dati fuori col mio nome a un guazzabuglio di versi bastardi e storpiati, io non lo so....„
Come vedete, la paura della Polizia faceva uscire il sor Beppe proprio fuori dei gangheri, sino ad accordare il titolo, in pubblico ed in una lettera indirizzata alla moglie d’uno che fra poco, a proposito d’una certa pubblicazione, doveva dare prove d’un coraggio civile assai diverso dal suo, di guazzabuglio di versi bastardi e storpiati all’Incoronazione, allo Stivale, alla Terra dei Morti!....
Meno male se si fosse trattato di sottrarre la propria pelle al capestro del boia austriaco o di quello dei Borboni di Napoli; ma rinnegare la propria gloria per non subire un Avvertimento di cangiar vita, come quello che egli stesso aveva subìto quando studiava le Pandette sui tavolini dell’Ussaro, di Pisa, via, ci si permetta di dirlo, tutto ciò non