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sappiamo come non sempre la storia di fatti moderni o contemporanei possa e debba dir tutta la verità, noi, diciamo, non solleveremo il velo che copre certi misteri. Ci permettiamo soltanto di dire che anche nel mite governo granducale la schifosa pianta dello spionaggio prosperava colla forza d’una istituzione a larga base, e che l’infame arringo era allegramente percorso da cittadini d’ogni grado.

Ma perchè il presente capitolo non contenga soltanto considerazioni d’ordine generale e indicazioni di soverchio indeterminate, ma sia quello che ci siamo imposto che fosse quest’opera, cioè, una storia segreta di Firenze, temperata da opportune e necessarie reticenze, aggiungiamo a sostegno di quanto abbiamo detto che fu un cittadino di condizione non plebea che nel 1837, quando Giuditta Bellerio (una bella signora che Giuseppe Mazzini amava) venne in Toscana per organizzarvi col fascino del suo spirito e dei suoi begli occhi i comitati della Giovine Italia, tenne informato il governo dei passi di lei, benchè poi sulla leggiadra cospiratrice implorasse che scendesse meno pesante la mano del principe; che chi informava il Bologna, giorno per giorno sugli andamenti degli scienziati convenuti al congresso di Pisa, nel 1838, era un professore, come era un altro professore che praticava lo stesso poco onesto ufficio al congresso di Genova, nel 1846; che infine, anche il clero, anche l’alto clero, non aveva ribrezzo d’incanagliarsi fra le spie.

Nè, per fermarci al clero, noi si calunnia codesti ministri di Dio, che si trasformavano in odiosi arnesi di polizia. Lasciando in disparte tutti quei preti, e tutti quei frati, che violando il segreto della confessione, riferivano alla polizia fatti e pensieri che i penitenti avevano depositato nel loro seno, nel 1832, lo stesso arcivescovo di Firenze, monsignor Ferdinando M...... che nel 1848 benedisse con grande spreco d’acqua santa bandiere e coccarde tricolori, e pregò per le anime dei soldati toscani gloriosamente caduti a Curtatone e a Montanara, scambiando il ministero di pastore d’anime con quello di secondino, non ebbe a disdegno di mettere sè stesso e la influenza che gli veniva dal suo alto e santo ufficio, a disposizione della polizia segreta