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nale da tavolino, incapace di procurargli il più leggiero grattacapo. Quanto a crederlo poi un rivoluzionario, un soggetto pericoloso, un apostolo di barricate, sullo stampo di Giuseppe Mazzini, non c’era pericolo che come tale lo ritenesse, nemmeno per un solo istante; e se qualcuno avesse tolto occasione da questa sua credenza piuttosto bonaria per metterlo in guardia, egli ne avrebbe riso di cuore. Si figuri il lettore, se il Giusti poteva essere una vittima, un perseguitato!

E sì che allora la Polizia Toscana non si limitava ad applicare qualche mese di reclusione o di confino al solo Francesco Domenico Guerrazzi, lo scrittore tribunizio. Sorvegliava accuratamente gente, che poi passò per moderata di tre cotte, come il Salvagnoli, il Panattoni, il Marzucchi, e l’ancora vivente Enrico Poggi, il venerando autore della Storia d’Italia, cui l’ufficio di sostituto alla Procura Generale non lo metteva al sicuro dei sospetti che nei poliziotti destava la sua amicizia coi liberali, segnatamente col Salvagnoli.

Ma è tempo di mettere mano ai documenti. Negli atti segreti della Polizia appare scritto, per la prima volta, il nome di Giuseppe Giusti nel 1839, poco dopo la riunione a Pisa del primo Congresso degli scienziati. Il poeta aveva scritto allora la satira: Per un Congresso, e il Bargello di Pisa trasmettendone il 30 novembre una copia manoscritta alla Presidenza del Buon Governo, scriveva: „Per le notizie avute sembra che questa composizione provenga dalla penna di un tal dott. Giusti fiorentino (sic.).„ — Però, l’anno innanzi, un esemplare della satira: L’Incoronazione era stato trasmesso alla Presidenza del Buon Governo, ma senza che fosse accompagnato da nessuna nota illustrativa; e, bisogna confessarlo ad onore della stessa Polizia, senza che il sequestro di quel componimento in cui si tartassava