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allora non fossero state ritenute per la quintessenza d’un abilità di Governo che nel paese aveva fatto le sue prove. Il Governatore di Livorno informando il ministro che in quella città sì voleva formare una Società di matrone avente per iscopo di provvedere all’educazione religiosa, morale e letteraria delle fanciulle, notava che le fondatrici, per quasi una metà, erano acattoliche, e soggiungeva: „Potrebbe essere questa la veduta di fare come suol dirsi un contraltare al Vescovo e al padre Quilici, ambiziosi di stabilire un ritiro per le dissolute penitenti? Cosa che urta la città per più vedute particolari di cittadini. E ciò mi fa sospettare perchè il Vescovo non è nominato ed è affatto estraneo all’affare.„ Ma don Neri che voleva vivere in pace e col Vescovo, col padre Quilici, e colle dame livornesi, non escluse le acattoliche, rispose che permetteva la costituzione della Società, a patto che questa impartisse le sue cure alle sole fanciulle cattoliche. Poco importavagli che dame calviniste, luterane o anglicane si trovassero alla testa del sodalizio. A lui premeva che a Livorno non si gridasse per un po’ di lettura e d’abbaco da insegnare a due tre dozzine di fanciulle. Un certo Rostopulo, capocomico a spasso, supplicava il Governo che gli permettesse d’aprire a Livorno una Scuola di declamazione, alla quale avrebbero prestato il loro concorso in denaro i principali signori di quella città. Don Neri permise l’apertura della scuola, ma a condizione che le sottoscrizioni si raccogliessero privatamente, e privatamente s’inaugurasse la scuola, senza programmi nè avvisi, ma alla sordina, quasi che poche schede di sottoscrizione portate in giro per la città l’annunzio della recita dell’Oreste dell’Alfieri o della Locandiera del Goldoni, potessero turbare il sonno al Governo del Granduca.

Ma tempestando l’Austria che non trovava di suo gusto quella politica di decotto di papaveri e di lattughe, non di carceri e d’esili con un pizzico di forca, il vecchio Fossombroni, che allora era alla testa del Governo, senza farsi l’emulo dei sanfedisti di Modena, chè non aveva nè animo nè abitudini pel mestiere di birro, strinse i freni, e a