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CAPITOLO XXVII.
I giornali.
Il quarto potere non era allora che un’aspirazione, e un’aspirazione assai indeterminata, dei liberali. Pel governo esso era un’incognita. Ciò che allora si chiamava stampa politica si riduceva alle magre notizie che dava ai suoi scarsi lettori la Gazzetta Toscana, che, come tutti i giornali ufficiali, sapeva assumere, nelle più gravi circostanze, un dignitoso ed autorevole silenzio.
L’unico giornale a cui la politica colle sue ardenti discussioni, non escluse le violenze, non fosse interdetta, era la Voce della Verità, di Modena, più che giornale, disgustoso ed osceno libello, dove i liberali, tre volte la settimana, erano vituperati e calunniati con linguaggio da bordello.
Ma, se in Toscana la stampa politica era muta, vi riceveva un’ospitalità, benchè spesso limitata da proibizioni, quella estera, specie la francese. La Polizia, la quale leggeva attentamente gli articoli che si pubblicavano sui giornali stranieri e se ne procurava la traduzione quando essi si riferivano alle cose d’Italia in generale, o a quelle di Toscana in particolare, per quella parsimonia che nei fiorentini discendenti da mercanti è diremmo quasi naturale, non riceveva direttamente i giornali, nemmeno i due o tre più autorevoli che si stampavano in quel tempo a Parigi; e per conoscere quanto questi scrivevano sugli affari del Granducato o degli altri Stati italiani, ricorreva ad espedienti sin’anco ridicoli. Ora si dava uno o due paoli al cameriere d’un Gabinetto di lettura o di Caffè, perchè per una due ore prestasse all’Ispettore di Polizia o a un confidente i Debats o il Temps; ora era un impiegato della