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la ebbe posto il piede nella città de’ fiori, si formò intorno ad essa la leggenda. Si diceva che fosse arrivata accompagnata e seguita, come una regina, da due o tre principi e da quattro o cinque marchesi, tutti, si capisce, soggiogati dalla bellezza di quella figlia di Tersicore, e che il suo appartamento fosse addirittura quello d’una fata o d’una principessa orientale. Arazzi preziosi alle pareti, tappeti regalati dal Sultano di Costantinopoli e dallo Scià di Persia, sui pavimenti; brillanti, zaffiri, turchesi, rubini, smeraldi, da abbacinare la vista dappertutto. In realtà — come riferiva l’Ispettore di Polizia — era arrivata modestamente in vettura in compagnia del padre e d’una governante. Il suo appartamento era elegante, ma non principesco, e per colazione, pranzo e cena spendeva un luigi di ventotto lire al giorno. Poi la diva s’ammalò; e tutto un mondo di galanti e giovani zerbini s’affollò alla porta dell’albergo chiedendo notizie della silfide. Essa metteva un dente, quello del giudizio; e il popolo disse finalmente che la Cerrito doveva venire a Firenze per diventare una donna di giudizio. Un poeta, quelle dimostrazioni di gente frolla, mise in burletta in una certa poesia, dove vede, nell’avvenire, i cittadini di Firenze innalzare alla Cerrito un mausoleo in Santa Croce:

Su tosto innalzisi
     Ricco trofeo;
     E là fra i tumoli
     Del Galileo,
     Dell’Alighieri,
     Del grande Alfieri,
     Sia questo ancor.

E quei magnanimi
     Non fremeranno,
     Ma il nostro secolo
     Benediranno,
     Che riconosce
     Fin nelle coscie
     L’abilità.

Delle tragedie dell’Alfieri a due era assolutamente proi-