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stremità preziose della diva, inscrivendole sul libro del cielo, e un Callimaco in dodicesimo ne cantasse i pregi come il poeta greco aveva fatto colla chioma della regina d’Egitto. Ma l’astronomo non capitò in mezzo a quelle teste vuote; vi cascò come una bomba, all’incontro, coi suoi endecasillabi improntati ad un’amarezza profonda, un poeta, che scaraventò contro quella turba elegante di fiacchi e di corteggiatori i seguenti due sonetti:

Quando di guelfi sdegni e ghibellini,
     Italia mia, bolliva ogni tua parte,
     Bella crescea tra l’ire e il dubbio Marte
     Progenie di gagliardi cittadini.

Ma or che gloria aspetti o che destini,
     Tu che mancipio della mimica arte
     Si del prisco t’infiammi odio di parte
     Pei compri vezzi di tue scaltre Frini?

E tu sei la famosa itala donna
     A cui si piacque l’immortal tuo figlio
     Rendere il serto e ricuprar la gonna?

Oh mal si porge a tue lusinghe orecchio!
     Lo scettro no, ma con miglior consiglio
     Darti in mano dovea t’uso e pennecchio!



Nefando esempio di furor tu davi
     Italia, contro te fatta delira.
     Quando t’offese di Lamagna l’ira
     E il doppio incarco delle somme chiavi.

Ma quale ignoto al costume degli avi
     Folle desire a parteggiar ti tira?
     Per un piè che volubile si gira
     Pugnan fra loro i cittadini ignavi!

Oh nobil gara! E delle membra sparte
     Di tue città brami l’imperio a Roma
     Comporre e ristorare ogni tua parte?

Ancella vile, accorciati la chioma,
     Danza, gorgheggia con lascivia ed arte:
     Gran tempo ancor ti graverà la soma!

Altri entusiasmi, altri delirî per la Cerrito venuta a ballare a Firenze nel febbraio del 1844. Già, appena ch’el-