Pagina:Misteri di polizia - Niceforo, 1890.djvu/22


9

Canosa, due bieche figure di sbirri che pesano sulla storia d’Italia di quel tempo come due incubi dolorosi, A Firenze, però, il Ciantelli non trovò nè uomini, nè ambiente, perchè la sua attitudine di aguzzino trovasse un vigoroso sviluppo, e nei primi mesi del suo ufficio non mostrossi assai diverso del Puccini; ma, divorato dalla sciagurata ambizione di diventare il Fouchè della Toscana, ròso dal desiderio ch’egli, convinto conservatore riputava nobilissimo, di salvare il trono e l’altare minacciati dalle sètte, a poco a poco cominciò a mostrarsi nella sua vera luce, — in quella di poliziotto. Bigotto, era pane e cacio coi gesuiti; austriacante sino al midollo delle ossa, stava in adorazione non solo dinanzi al gran cancelliere di Sua Maestà Cesarea, ma anche dinanzi a quelle raschiature di Metternich che sedevano negli uffici reali ed imperiali di Milano, dove egli, il ministro del nipote di Pietro Leopoldo, si recava di tanto in tanto, nel massimo segreto, per ricevere l’imbeccata. Foderato d’intolleranza, quanto il suo predecessore era stato animato di sentimenti miti, pareva che non avesse che uno scopo, un’ideale da raggiungere nella vita, — quello di trasformare Firenze in una succursale della polizia di Milano o in una seconda Modena, riveduta e corretta ad majorem gloriam dalla reazione universale.

Ma a Firenze, quel Canosa in sedicesimo, sembrò una pianta esotica. I toscani, abituati ad una polizia che rompeva le tasche al pubblico il meno che fosse possibile, che sapeva infilare i guanti paglierini nelle circostanze più scabrose, che amava fare tranquillamente la sua digestione, — i toscani, diciamo, cominciarono a brontolare, a ricorrere agli epigrammi, alla letteratura anonima dei muri che nei paesi sottoposti alla censura forma il così detto quarto potere e magari la tribuna. I ministri stessi, principalmente il Fossombroni e il Corsini, che avevano governato per tanti anni il paese senza ricorrer e alle manette, alla relegazione e al confino, presero in uggia il ministro-birro; e un bel giorno, annuente Leopoldo II, che con rammarico vedeva sparire intorno al trono quell’aureola di bontà che aveva procurato alla Toscana la riputazione di paese ospitale e