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non prendono in esame che il letterato, poco l’uomo, non mai il politico. All’incontro, il Botta, nello scritto destinato all’Antologia, non considera i nostri storici che da quest’ultimo lato, lasciando assolutamente in disparte le solite quisquilie di lingua e di stile: lo che, in Italia, nel 1826, quando messer Francesco Guicciardini non era chiamato Principe dei nostri storici che per la magniloquenza delle arringhe dei suoi personaggi e il giro maestoso dei suoi periodi, e messer Niccolò Machiavelli, da oltretomba, doveva difendersi dalla taccia di non aver saputo bene il latino e da quella di scriver male l’italiano, era una vera e grossa eresia — una di quelle eresie che allora mettevano in iscompiglio le quiete sale delle accademie più o meno cruscheggianti e facevano scendere in campo i letterati gli uni contro gli altri formidabilmente armati di testi di lingua più o meno autentici, più meno guasti da amanuensi e stampatori.

Comincia il Botta il suo discorso coll’osservare che, nonostante „che sia fine degli storici di far conoscere la verità, pure assai pochi sono stati quelli che hanno servito unicamente a lei, avendo alcuni servito l’amore delle parti, mentre altri si sono lasciati tirare, richiesti od anche non richiesti, dagli allettamenti dei potenti. Di questi non vogliamo parlare, perchè meritarono piuttosto il nome di uomini bugiardi e servi, che quello di storici. Solo vogliamo parlare di quelli che alla verità sola servirono, o da lei non per motivi vili d’interesse o di potenza, ma per cagioni alte e generose più o meno si discostarono.

„Degli antichi storici, Tito Livio e Cornelio Tacito debbono occupare principalmente il nostro discorso. Il primo è più storico patrio, che morale; il secondo più morale che patrio, benchè l’uno e l’altro e patrii e morali sieno stati. Il fine di quello era di scrivere la storia di Roma... Quella sua gravità e grandezza nemmeno in Cicerone si trova,