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lopio — si fosse piuttosto di manica larga per gli scritti di argomento politico e non si ricorresse al rigore che nelle materie di religione e di morale: lo che — osservava melanconicamente il pio censore — non accadeva nel Lombardo-Veneto, ove la censura era rigida in materia politica, e corrente, forse molto corrente, in materia religiosa.

Il caso parve gravissimo allo stesso Presidente del Buon Governo, anche perchè lo scritto del Botta, oltre a qualche massima liberalesca, che la censura avrebbe facilmente potuto sopprimere, conteneva un certo giudizio sul Principe del Machiavelli, trasudante da ogni frase, da ogni parola uno spirito, come allora si diceva, antipolitico, se non addirittura sovversivo e ribelle ai soliti tagli. Invocava quindi alla sua volta, anche in considerazione della fama che godeva lo scrittore, i lumi superiori. E i lumi superiori, che poi erano quelli di don Neri Corsini, vennero subito sotto forma di un biglietto, col quale si ordinava che lo scritto del Botta fosse soppresso. Don Neri lo giudicava in alcune parti pieno di spirito anti-papale, in alcune altre sovversivo, quasi fosse stato meditato e scritto in una vendita di Carbonari. E in quei giorni, non in Toscana, ma nel Lombardo-Veneto, i Carbonari si condannavano alla galera, e nello Stato Pontificio, senza tanti complimenti, impiccavano.

Noi abbiamo potuto esaminare, fra le carte dell’Archivio della Polizia toscana, lo scritto del Botta, e benchè oggi lo studio della storia proceda con criteri diversi di quelli ch’erano in voga ai tempi del celebre scrittore piemontese, pure quella scrittura può anche oggi ritenersi non isfornita d’importanza. Imperocchè, se le storie letterarie nostrane sono piene di giudizi sui nostri principali storici, segnatamente su quelli del cinquecento, pure, per le condizioni dei tempi in cui vissero tutti coloro che li pronunziarono, essi