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CAPITOLO XXIV.
Uno scritto di Carlo Botta.
Uno scrittore d’epigrammi.
L’Antologia fu per quasi tredici anni il solo giornale italiano, che — nonostante la censura — rappresentasse, ora più ora meno velatamente, il pensiero e le aspirazioni dei liberali della penisola. Era, come se ne rammaricavano i codini e le polizie italiane, specie di Modena e di Milano, una continuazione del famoso Conciliatore di carbonaresca memoria, con tendenze sovversive assai più accentuate, pubblicandosi il giornale in un paese dove la censura era esercitata piuttosto benevolmente e il principe non esigeva, come il sire austriaco, che i sudditi fossero ignoranti, ma obbedienti.
Le tendenze liberali dell’Antologia non erano, per altro, un mistero per la stessa censura e pel dipartimento della Polizia. Difatti, nel 1826, quando il Vieusseux presentò alla revisione uno scritto di Carlo Botta intitolato: Del carattere degli Storici Italiani, il censore, ch’era il già ricordato scolopio, P. Mauro Bernardini, in un suo lungo rapporto al Presidente del Buon Governo, non nascondeva come l’Antologia, sia per lo spirito degli scritti che pubblicava e che le mutilazioni e i raffazzonamenti ordinati o eseguiti dalla censura non arrivavano sempre a far scomparire, sia per le opinioni che in materia politica professavano gli scrittori che vi collaboravano, fosse ritenuta por un’effemeride liberale; ed era appunto tale riputazione che s’era creata in Toscana e fuori l’Antologia, che lo tratteneva di licenziare definitivamente per la stampa lo scritto del Botta, alcune parti del quale erano improntate ad un tale spirito di libertà, da non potere ammettere le solite soppressioni, comecchè in Toscana — aggiungeva il tollerante sco-