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Botta presentava come giansenista; danni della lettura d’un siffatto libro presso la gioventù.

Al ministro parve che le ragioni contrarie soverchiassero le favorevoli, e con nota del 23 novembre 1832, don Neri non accordò il permesso, ritenendo che anche il sistema delle soppressioni seguito per altre opere, sarebbe riuscito inutile in quella del Botta in cui oltre la parola era da censurarsi lo spirito di cui era da cima a fondo informata.

Nel 1833, fu domandato il permesso di ristampare le Satire di Salvator Rosa. Qui la politica, naturalmente, non ci aveva nulla da vedere, benchè il poeta-pittore-soldato del secolo XVII, nelle sue rime, non manchi di assalire con sopraffina mordacità le corti e i principi dei suoi tempi. Ma a questo, il padre Mauro pensò che si sarebbe potuto facilmente provvedere con sapienti e sagaci interpolazioni o raffazzonature: ma ciò che turbava la sua onesta coscienza di scolopio era il linguaggio di quando in quando licenzioso del poeta. Però ripensandoci su, egli stimò che anche su questo punto si sarebbe potuto provvedere collo stesso sistema. La qual cosa il buon padre perpetrò con una serie di scellerati mutamenti, di cui diamo un breve saggio.

Il Rosa aveva cantato:
          In corte, chi vuol essere ben voluto,
          Abbia poco cervello in testa accolto,
          Sia musico, o ruffian, ma non barbuto.

Il padre Mauro corresse:
          Colui che brama esser ben voluto
          Abbia saggio cervello in testa accolto,
          Sia musico o buffon, ma non barbuto.

Il Rosa aveva scritto:
          Stolidezza dei principi e dei regi
          Che senza distinzion mandano al pari
          Cogl’ingegni plebei, gl’ingegni egregi.

Il censore corresse:
          Stolti color che dean stimare i pregi
          Che senza distinzion mandano al pari
          Cogl’ingegni plebei, gl’ingegni egregi.

Sicuro, sapienti e sagaci modificazioni che toglievano alle satire del Rosa il loro spirito mordace ed originale!...