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nità o no della ristampa; e il Corsini, che in quei giorni, a motivo d’una certa pubblicazione dell’Antologia, aveva sudato due camicie per persuadere il ministro di Sua Maestà Cesarea che alla fin fine la Toscana non era una fucina d’insidie e di complotti contro l’apostolico imperatore, rispose asciutto asciutto: „Non si stampi.„ Ma il Nistri, di Pisa, senza curarsi del decreto, colla falsa data d’Italia, ristampò il libro, vendendone, in pochi giorni, più di settecento copie: però scoperto, fu condannato ad una multa di centocinquanta lire, col sequestro degli esemplari rimasti invenduti. L’Ettore Fieramosca, del D’Azeglio, non fu ristampato che con prudenti tagli concertati con lo stesso ministro, e i Discorsi sulla Storia Lombarda del secolo XVII, di Cesare Cantù, benchè editi a Milano, presentati alla censura fiorentina per la ristampa, furono respinti all’autore „senza approvazione, perchè egli (il Cantù) volesse modificare e sopprimere qualche sentimento poco conveniente„ come scriveva lo stesso censore.

Nel 1832, avendo un editore domandato il permesso di ristampare la Storia d’Italia, in continuazione di quella del Guicciardini, di Carlo Botta, il censore, in un lunghissimo rapporto al ministro dell’interno, passò in esame le massime contenute nel libro e da lui stimate false, o erronee, o pericolose; ma arrivato al punto di emettere il suo giudizio sull’insieme dell’opera, se la cavò pel rotto della cuffia, implorando i soliti lumi superiori, avendo però la cura di esporre le ragioni che, secondo lui, militavano pro e contro la ristampa. Le prime pel P. Mauro, erano: merito eminente dell’opera; copia di massime rette; prevenzioni favorevoli alla Toscana, alla quale l’autore prodigava lodi senza misura; vantaggio che ricaverebbe l’industria tipografica e libraria del Granducato, ove si accordasse il permesso di ristampare l’opera. Le seconde erano: presunti giusti clamori del clero superiore che non avrebbe mancato a far sentire la sua voce contro un’opera in cui parecchi papi erano aspramente tartassati; maldicenze contro il clero regolare; alcuni cenni sul Granduca Pietro Leopoldo che il

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