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CAPITOLO XXIV.
La Censura.
Non pigliava la via della censura che il pensiero inoffensivo, l’idea plasmata sul modello fornito dai governi stabiliti. Ciò che non poteva essere stampato e pubblicato all’ombra della Polizia, pigliava la via dei paesi retti a libertà. Laonde mentre i censori si distillavano il cervello a castrare gli scritti che si portavano al loro esame, a scrutare minutamente i concetti degli autori ed a pesare frasi e parole, i libri e gli scritti cosiddetti sovversivi, infischiandosi degli editti della Polizia, entravano clandestinamente in paese, importando quel veleno che i Governi credevano di tener lontano mercè le forbici e lo spegnitoio della censura. Si può dire, anzi, che le misure della Polizia non impedirono mai, come in altro luogo diremo, che un libro, per quanto si proclamasse pernicioso, entrasse e circolasse liberamente nei paesi, il cui pensiero s’imbavagliava mercè la censura.
Questa, peraltro, in Toscana, non esercitò il suo potere addormentatore che in modo assai prudente. A Firenze, per una lunga serie d’anni, essa fu esercitata da uno scolopio, il padre Mauro Bernardini, uomo di coltura estesa, d’idee qualche volta vaste, e di manica piuttosto larga, specie nelle materie economiche e politiche. Il suo Archivio — ora posseduto dall’Archivio di Stato di Firenze — è la dimostrazione di quanto scriviamo sul vecchio scolopio, mentre è un termometro dei criteri politici, letterari e religiosi che informarono per circa trent’anni la censura nella capitale dell’ex-Granducato. Codesti criteri, difatti, non s’inspiravano sempre a sfrenata libidine di evirazione intellettuale a paure ridicole, come spesso succedeva sotto la