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superiori, potè leggersi in una canzone, colla quale si offriva alla diva una corona di gigli, di rose e d’alloro, la strofa seguente:

Il giglio vi metti
     La rosa e l’allor;
     Quei fior son diletti
     A ogni italo cor.

Scrivendo i quali versi il loro autore avrà probabilmente dovuto pensare a quelli del Berchet, allora tanto in voga fra la gioventù liberale:

Il giallo ed il nero
     Colori esecrabili
     A ogni italo cor.

La cosa non passò inosservata alla Polizia, la quale, senza pretendere ad un brevetto d’invenzione, potè scoprire nel giglio, nella rosa e nell’alloro insieme accoppiati i colori della Rivoluzione Italiana; e il Presidente del Buon Governo osservò come l’Imperiale e regio Censore, nell’accordare il permesso, fosse stato troppo buono.

Nel 1833 la notizia d’un caso pietosissimo si diffuse, per l’Italia. Una donna, moglie e madre, per reato politico fu tratta in carcere d’ordine della Polizia austriaca, mentre il marito, per la stessa causa ricercato, aveva poco prima potuto porsi in salvo colla fuga. Nelle carceri di Stato di Venezia la povera donna s’ammalò e morì, e alla sua morte tenne dietro quella del figlio, un angioletto di poco più d’un anno. Il Mazzini, nella Giovine Italia, con parole di profonda pietà commiserò il caso tristissimo, e Carlo Pepoli, da Parigi, scrisse sulla morte del figliuolo morto innocente, un’iscrizione, che diffusa a migliaia di esemplari nella penisola, destò dappertutto un grido d’indignazione contro l’oppressore austriaco. L’iscrizione si distacca dalle solite forme classiche; all’incontro, sotto una rassegnazione che vuol parere cristiana, ma è un urlo di vendetta, essa preludia alle barricate del quarantotto. E per più tempo