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correndo, umida d’inchiostro tipografico, per le mani della gioventù: letteratura che non aveva bisogno di torchi e i cui saggi degli oscuri ammanuensi riproducevano all’infinito, e i curiosi, i maligni, e i liberali diffondevano rapidamente senza che d’ordinario la Polizia arrivasse a scoprire, malgrado il suo zelo, gli anonimi autori.

Questa era, d’ordinario, la letteratura del giorno, del momento, diremmo quasi la cronaca politica e cittadina del paese, di rado non personale. Il pubblico, che non poteva leggere la questione del giorno in un articolo di fondo, in un capo-cronaca, in una monografia di rivista, trovava sempre un poeta o uno scrittore che con un epigramma, un sonetto, una pagina di prosa mordace appagasse il suo desiderio o la sua curiosità. Soltanto il pubblico, in quella lettura, provava una soddisfazione maggiore di quella che avrebbe provato se quella sua lettura fosse passata per le mani del censore. Era la soddisfazione che nasceva dal sapere che al suo spirito si buttava in pascolo un frutto proibito.

Riservandoci a parlare sotto speciali rubriche di alcuni dei monumenti più importanti della letteratura clandestina apparsi e diffusi in Toscana nei tempi di cui ragioniamo, diamo qui posto alla piccola letteratura anonima venuta sù nel mistero, omettendo sopratutto le scritture in prosa, comprese quelle di natura politica, per non isconfinare di soverchio dal nostro argomento. La nostra rassegna sarà limitata al campo poetico.

L’ispettore Chiarini, con rapporto del 17 marzo 1818, informava la Presidenza del Buon Governo che un certo Dario Mercati aveva narrato al Caffè del Bottegone d’aver ricevuto per mezzo della posta il seguente sonetto, il quale è una atroce satira all’indirizzo dei ministri toscani di quel tempo.

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