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cospirato nell’ombra, poi ballato intorno agli alberi della libertà che gli scamiciati fiorentini, ad imitazione di quelli di Parigi, avevano piantato un po’ dappertutto a Firenze. Allora il Puccini si tagliò i capelli alla Bruto, proclamò fondamento della civile società il Contratto Sociale di Rousseau e i Diritti dell’Uomo, che da quello pigliavano la loro origine, chiamò tiranno il dabbene Ferdinando III, cortigiani del despota i ministri del granduca, mangiò di grasso il venerdì e il sabato, non andò più al tribunale della penitenza, negò il saluto al suo parroco, e non capì nella propria pelle quando apprese che i soldati repubblicani di Francia avevano tratto prigioniero in Francia, nel rigore del verno, e attraverso strade ricoperte di ghiaccio, un vecchio morente: Pio VI.
La restaurazione trovò il Puccini completamente trasformato. Essa trovò che il vecchio giacobino chiamava Rousseau un sognatore pericoloso, i Diritti dell’Uomo delizia di canaglia, gli alberi della libertà una profanazione, il tiranno del novantanove, un principe saggio, buono, virtuoso, padre dei propri sudditi. Lo trovò riconciliato col suo parroco, frequentatore di chiese, bigotto e grande ammiratore di Pio VII. Come si vede, il Puccini per cambiare casacca non aveva nemmeno aspettato che il principe di Talleyrand ne avesse offerto a lui l’esempio.
Lo Zobi, nella sua storia, lo vota semplicemente alla infamia. Noi che abbiamo esaminato minutamente i suoi atti; che giorno per giorno l’abbiamo seguito attraverso la fitta selva delle attribuzioni del suo ministero; che abbiamo potuto leggere nel fondo della sua mente, come nel fondo del suo cuore, nei rapporti in cui, ora al granduca, ora al ministro dell’interno, per oltre dieci anni, spiegava i suoi concetti di governo, se non ne tenteremo in queste pagine la riabilitazione, nemmeno ci uniremo ai suoi nemici per vituperarlo. Diremo soltanto che il Puccini, benchè liberale rinnegato, non portò nel suo ufficio nè l’acredine, nè la passione dei neofiti e dei rinnegati. Troppo intelligente per poter credere alla serietà delle resurrezioni archeologiche che formarono la sola tutta caratteristica dei governi italiani del