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restieri provenienti dagli Stati di S. M. il Re di Sardegna avevano preso alloggio.

Installatosi nella sala principale della locanda, colla assistenza del cancelliere e del capo dei birri, fece chiamare a sè i due sconosciuti.

— Vi chiamate?

L’uno rispose:

— Sono Felice Garibaldi, di Domenico, da Nizza, negoziante.

L’altro:

— Sono Ruben di Sion Cohen, commerciante.

— Voi siete fuggiti da Genova....

— Niente affatto, lustrissimo. Ce ne siamo allontanati spontaneamente per affari... Non è vero, Ruben?

— Sicuro, per affari — rispose la prole di Sion Cohen.

— Facevate parte d’una congiura...

— Siamo della gente pacifica — disse Ruben. — Non è vero, Felice?

— Sicuro, gente pacifica — ripetè come eco il Garibaldi.

Intanto il capo dei birri aveva disfatto le valigie dei due viaggiatori.

— Ah, ci avete dei libri... M’immagino libri rivoluzionari... Le Poesie del Berchet, qualche opuscolo del Mazzini o del Modena... Vediamo un po’, sor Cancelliere, legga il frontespizio.

— Ecco: le Mie Prigioni, di Silvio Pellico.

— Ma se lo diceva io che dovevano essere proibiti codesti libri!

— Lei scherza, lustrissimo; le Prigioni del Pellico sono state pubblicate a Torino, due anni fa, col permesso dei superiori.

— A Torino, sì; ma in Toscana quel libro è stato dichiarato pericoloso ed un ordine recente dell’eccellentissima Segreteria di Stato ne vieta non solo la ristampa, ma anche la circolazione.

— Se è un libro pieno di rassegnazione cristiana!...