Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
167 |
restieri provenienti dagli Stati di S. M. il Re di Sardegna avevano preso alloggio.
Installatosi nella sala principale della locanda, colla assistenza del cancelliere e del capo dei birri, fece chiamare a sè i due sconosciuti.
— Vi chiamate?
L’uno rispose:
— Sono Felice Garibaldi, di Domenico, da Nizza, negoziante.
L’altro:
— Sono Ruben di Sion Cohen, commerciante.
— Voi siete fuggiti da Genova....
— Niente affatto, lustrissimo. Ce ne siamo allontanati spontaneamente per affari... Non è vero, Ruben?
— Sicuro, per affari — rispose la prole di Sion Cohen.
— Facevate parte d’una congiura...
— Siamo della gente pacifica — disse Ruben. — Non è vero, Felice?
— Sicuro, gente pacifica — ripetè come eco il Garibaldi.
Intanto il capo dei birri aveva disfatto le valigie dei due viaggiatori.
— Ah, ci avete dei libri... M’immagino libri rivoluzionari... Le Poesie del Berchet, qualche opuscolo del Mazzini o del Modena... Vediamo un po’, sor Cancelliere, legga il frontespizio.
— Ecco: le Mie Prigioni, di Silvio Pellico.
— Ma se lo diceva io che dovevano essere proibiti codesti libri!
— Lei scherza, lustrissimo; le Prigioni del Pellico sono state pubblicate a Torino, due anni fa, col permesso dei superiori.
— A Torino, sì; ma in Toscana quel libro è stato dichiarato pericoloso ed un ordine recente dell’eccellentissima Segreteria di Stato ne vieta non solo la ristampa, ma anche la circolazione.
— Se è un libro pieno di rassegnazione cristiana!...