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CAPITOLO XXII.
Due proscritti
Giuseppe Garibaldi e Gustavo Modena.
La storia della fuga di Giuseppe Garibaldi da Genova avvenuta la mattina del 5 febbraio 1834, non occorre d’essere rifatta. Lo stesso generale, col suo stile semplice come la sua parola, l’ha già narrata nelle sue Memorie. Soltanto aggiungiamo, senza la pretesa di dire una novità, che Garibaldi, con quella fuga sottraeva il proprio petto al piombo dei fucili d’un pelottone di soldati; la qual fuga a Sua Eccellenza il tenente generale marchese Paolucci, governatore della città e comandante la divisione militare, nell’immensa bontà dell’animo suo metà gendarme, metà gesuita, non pare che fosse riuscita di sua soddisfazione, se pochi giorni dopo di quello in cui il futuro liberatore dell’Italia meridionale, cambiati i suoi panni di marinaio della regia marina sarda con quelli d’un operaio, prendeva la via dell’esilio, era costretto, egli, l’illustrissimo signor Marchese-Governatore, a scrivere — precisamente il 10 febbraio 1834 — al signor Vicario Regio di Pietrasanta in Toscana:
„ Come qualmente presso il tribunale militare di Genova fosse stato iniziato un procedimento penale per reato d’insurrezione contro Francesco Garibaldy (sic) e Rubens, latitanti, e come in detto procedimento figurasse inoltre come uno dei capi del movimento insurrezionale Giuseppe Garibaldy (sic), fratello del detto Francesco, marinaio in attività di servizio sui regi legni, evaso da Genova la mattina del 5.„
E con una semplicità di linguaggio da rasentare il sublime, quasi che al povero Vicario Regio, modestissimo funzionario tra lo sbirro o il giusdicente, chiedesse non la te-