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dirigere la mente e la coscienza del paese o di torturare l’una e stuprare l’altra colla censura, la prigione, o il patibolo. Insomma, era una polizia che non s’occupava che di grassazioni, di borsaiuoli e di falsari.

Ma la Rivoluzione francese, che i battaglioni del Buonaparte importarono in Italia, mutò la faccia delle cose. Insieme ai Diritti dell’Uomo, che noi compatriotti del Beccaria e del Filangieri avevamo la disgrazia di non conoscere, i nostri liberatori ci portarono la polizia — la polizia potere politico, — la polizia elevata alla dignità di funzione principalissima dello Stato, — la polizia-governo, o meglio il governo-polizia. Imperocchè, quel modesto istituto che sotto i vecchi governi patriarcali d’Italia non arrivava sempre ad essere lo spauracchio dei borsaiuoli e degli accoltellatori, nei governi venuti su in nome della libertà, fu istituto per eccellenza assorbente. Il bargello si trasformò in prefetto, e, sotto Napoleone I, ebbe un abito ricamato, la commenda e le chiavi di ciambellano; e siccome la proclamazione di quei certi diritti dell’uomo non aveva fatto scomparire la vanità e la boria degli antichi cortigiani, così fu anche barone e conte. Il Fouchè, che come il suo padrone ebbe la sua leggenda — una leggenda di sbirri e di manette — fu principe. Venti anni prima, quando un Bernardino Tanucci governava il reame delle due Sicilie e un Neri e un Gianni reggevano la Toscana, egli sarebbe stato semplicemente rinchiuso, come un volgare malfattore, nelle segrete di Castel dell’Uovo o nel Maschio di Volterra.

Si figuri il signor lettore, se nel 1814, quando l’astro napoleonico scomparve e la Toscana cessò d’essere una provincia dell’impero francese e Firenze la sede del dipartimento dell’Arno, i buoni fiorentini che con Pietro Leopoldo avevano preceduto, benchè qualche volta a malincuore, riforme francesi, potessero far voti per la conservazione e la prosperità dell’istituto dell’ex-cittadino, dell’ex-accusatore pubblico del Tribunale rivoluzionario, dell’ex-boia giacobino, insomma, di Fouchè, allora trasformato in principe! E fu una vera esplosione di gioia, una gioia pazza, quando i nostri nonni, una bella mattina del maggio del 1814 ap-