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sere nè acre, nè altezzoso, se il Pepe, lo stesso giorno in cui era sceso sul terreno, potè rispondergli nel modo seguente:
„Sensibilissimo al gentile rimprovero da Lei fattomi d’aver disobbedito all’ordine significatomi da un agente del Governo, onde non sortissi di casa fino ad ulteriore comunicazione, ho l’onore di dirle e d’assicurarla sulla mia parola che nessuna persona si è a me approssimata, nè mi diè cenno alcuno dell’ordine in discorso. Potrà Ella contare sulla scrupolosa e religiosa verità di questa mia assicurazione. Ho il bene ecc.„
La città, intanto, era eccitatissima. Gariele Pepe, la sera del 19 febbraio, era già divenuto l’enfant gâté del pubblico fiorentino. Quel suo colpo di fioretto assestato tanto opportunamente a colui che aveva scritto i versi che avevano fatto fremere d’indignazione gl’italiani, anche più alieni dalle sètte e dalle cospirazioni, l’aveva trasformato in un eroe. Era una disfida di Barletta in proporzioni minuscole, con un zinzino di sapore letterario per giunta, come peraltro portavano i tempi e l’ambiente, quella che era stata ancora combattuta tra Italia e Francia e colla vittoria della prima.
Il Governo, che si riassumeva nella persona del primo ministro, il conte Vittorio Fossombroni, a cui non faceva difetto un certo spirito d’italianità che di tanto in tanto lo spingeva a non accettare sempre senza beneficio d’inventario gli ordini della Cancelleria austriaca, stimò prudente di mettere a dormire la faccenda, benchè uno degli attori del dramma fosse un carbonaro della più bell’acqua e non vivesse a Firenze che per semplice e graziosa tolleranza di S. A. I. e R. il Granduca felicemente regnante; e la sera stessa della gran giornata don Neri Corsini scriveva al presidente Puccini:
„Il consigliere don Neri Corsini prega il degnissimo signor Presidente del Buon Governo di non prender nessuna misura rispetto al napoletano Pepe già tornato in città insieme al suo avversario sani e salvi (in quel momento il ministro ignorava che il Lamartine avesse riportato una