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dere; soltanto la carta di soggiorno ai due esuli fu accordata per tre mesi, salvo ad essere prorogata.
Fatto un buco alla draconiana misura, non riusci più di tapparlo al governo. Se anche vi si fosse posto d’attorno con tutta la ferrea volontà dello stesso principe di Canosa, il re dei poliziotti di quel tempo, ci avrebbe sprecato le forze. L’indole dello stesso governo vi si sarebbe sempre opposta. Difatti, pochi giorni dopo, il barone Giuseppe Poerio, con una rispettosa lettera al Presidente del Buon Governo, dopo d’avere esposto che relegato dopo i fatti del 1821, nella capitale della Stiria, aveva ricevuto dal re di Napoli la grazia della libertà di domicilio all’estero, supplicava ora il Governo toscano perchè gli accordasse il permesso di fissare la sua residenza a Firenze. Il Puccini rassegnò la lettera del Poerio al Corsini opinando per l’accoglimento, anche perchè il nome del Poerio non si leggeva in nessuna sentenza emanata contro gli autori dei moti insurrezionali del reame; e il Corsini, con biglietto dell’11 maggio, permetteva che il Poerio si stabilisse a Firenze.
Ma giunto a Firenze, il Poerio trovò che la graziosa concessione era stata ritirata in seguito ad osservazioni del ministro cesareo, che la tolleranza toscana non trovava conforme ai principii che informavano la politica d’allora che, come si sa, non spirava favorevole alle teorie liberali. Minacciato di sfratto, il Poerio non si smarrì d’animo, ma picchiando di qua, picchiando di là, ottenne che fosse ammesso a soggiornare provvisoriamente. Difatti, gli fu accordata una carta di soggiorno di quattro settimane che, come al solito, fu in seguito indefinitivamente prorogata.
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Più lungamente ebbe a battere Francesco Paolo Borrelli per rientrare in Toscana. Scacciatone una prima volta, il 12 marzo 1824, da Trieste, supplicava il Granduca perchè, come generosamente aveva fatto pel Poerio, schiudesse anche a lui le porte del granducato. Aggiungeva che era