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CAPITOLO XIV.

I proscritti del 1821.

Il grande contingente delle proscrizioni che ebbero luogo in Italia dopo i rivolgimenti del 1821, fu fornito dal reame di Napoli. Quasi tutti i proscritti d’allora, trovarono asilo, un po’ alla volta, in Toscana. In quei giorni poteva dirsi come ai tempi dei vecchi Comuni italiani, quando la vittoria d’una fazione segnava la proscrizione della fazione vinta, che un’intiera regione era stata trasportata in un’altra. Già l’esodo napoletano del ventuno era stato preceduto da quello, però meno vasto, meno doloroso, del 1815, quando in seguito all’impresa dell’indipendenza tentata da re Gioacchino, i principali fautori di quel moto, col ritorno dei Borboni, ebbero ad emigrare. A capo di costoro, come più tardi doveva essere a capo dei proscritti del 1821, fu il barone Giuseppe Poerio, grande luminare del fôro napoletano, ex-ministro del Murat e padre di quelle due illustrazioni del martirologio italiano, che furono Carlo ed Alessandro Poerio.

Sbarcato il Poerio a Livorno insieme alla moglie e ai figli, non che insieme al Mandrilli, il quale era stato prefetto di Polizia a Napoli, il Puccini, presidente del Buon Governo, sotto il giorno 16 giugno 1816, scriveva al Governatore di quella città: „Sapevo già che Mandrilli stava in Livorno; egli e il Poerio hanno per ora una certa tolleranza in Toscana. Ella però si faccia dar conto dalla Polizia del suo contegno e delle sue relazioni. La prevengo che il Mandrilli è cautissimo nel suo esteriore e nella sua condotta; ed è naturale, essendo anche stato prefetto di Polizia in tempi turbolentissimi.„

Venuti tanto il Poerio quanto il Mandrilli a Firenze,