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T E R Z O. 28

Che ti degni mangiare un ramuscello,
Acciò che i nostri fiati
Sieno più delicati.
Orsù lo piglio, & ecco, ch’io son prima
A farne il saggio, piglia il rimanente.
Sat.Dammelo, io son contento.
Fill.Che te ne pare?
Sat.                              Ohime, che cosa è questa
Cotanto amara? Temo che mi beffi,
E mi vadi schernendo, che Serpillo
E questo, che m’hai dato?
Fill.                                               O malaccorto
Hor hai pur finalmente conosciuto,
Ch’io mi beffo di te qual Donna mai,
Ben che diforme, e vile si compiacque
D’amar sì mostruoso horrido aspetto?
Hor vedi, ch’io ti colsi, resta pure
Schernito, come merti, ch’io ti lascio.
Così volesse il Ciel, che fosti preda
D’Orsi rabbiosi, e d’affamati Lupi;
Perche innanzi mai più non mi venisse
Cotesta tua sì brutta, & à me tanto
Noiosa odiatissima sembianza.
Sat. Filli, Filli, ove vai? fermati, ascolta,
Slegami almeno, acciò ch’io non diventi
De l’altre, come te, spietate Ninfe
Scherzo, favola, e gioco.
Ohime, che non può fare
Femina risoluta d’ingannare?
Con quai lusinghe ohime, con quai parole
M’hà ridotto costei,


A la-