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Cui dicon portentosa in medicina
Contro le lassitudini de l’alvo
Questa, e con questa, dell’ulivo insieme,
A me le marze diè Verona, l’emula
Del Sannico ulivifero Tavurno,
Colle minute bacche di Lampone
Che allappano alla buccia e polpa han dolce,
Tanto propizie negli estivi ardori.
Benaco poi de’ corpulenti Cedri
M’inviò le carra ricchi a frutti e fiori,
E del Mirto e del Lauro anco i virgulti
Tanto odorosi e del mordace Pepe
Che venne già dai regni dell’Aurora.
Annaffiata coll’onda del Sebeto
Di Mandarini d’oro una selvetta
Mi fè tener Partenope la bella.
Nè ciò sol, ma il gratissimo al palato,
Agli avi nostri ignoto e forestiere,
Ipomelo chiamato, o Lazzeruolo;
Se pur non è già il Nespolo descritto
Da Alceo di Lesbo che gli diè le foglie
Pari a quelle del Sèdano, o pur anco
Quel che l’egregio medico Dioscoride,
Già militante nelle Egizie squadre,
A noi descrisse, e che poi Mauri ed Arabi,
Con inversione della greca voce,
Nella punica dissero Zaruro.
È il frutto tricolor per eccellenza.
Or vestesi di porpora, talora
Volge a una tinta lattea, talora
Quasi cereo al color; ma se lo saggi,
Grato sapore ti darà sentito