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alla signora ernestina v. w. 13

si vedevano biancheggiare le pazienti spire della strada maestra, vi faceste seria ad un tratto; e, gittandovi a sedere sopra un macigno sporgente, diceste con voce vibrata:

«Questa storia».

Forse mi feci pregare alquanto, non me ne rammento bene. Certo vi dissi il semplice racconto con molta commozione, perchè ne ho conosciute le persone, e ci trovavamo allora nel posto dove, pochi anni prima, avevo veduto la donna tanto dissimile da Voi, il cui nome sta in fronte a questo libro. Era la mia rivincita; quella sera non avete scherzato più. La nebbia saliva dall’abisso, faceva freddo. Ci riponemmo in cammino. Dopo avermi mosse infinite domande «e com’era lui, e com’era lei, e quali gusti avevano, e cosa diceva il mondo di loro», come in un vecchio giuoco di società; dopo avermi fatto recitare alcune poesie di lui, profferiste il vostro ukase «ch’io dovessi scrivere il racconto».

Vi feci osservare le difficoltà grandi del còmpito. Non era in poter mio pubblicare i