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142 miranda

XXXIII.


Mi coricai. Sotto il guancial posava
Il libro. Entrò la madre mia, baciommi,
Tolsemi il lume, inconsapevol forse,
Ed uscì pria che osassi dir parola.
Lungo tempo sentii nella vicina
Stanza andare e venir l’orme leggiere
Di lei; tacquero alfine. Lungo tempo
Vidi brillar dell’uscio la fessura;
Finalmente oscurossi. Palpitando,
Immobile aspettai. D’un ebbro il canto.
Un rombo impetüoso di veloci
Ròte suonava nella via deserta,
Di quando in quando. A tesi orecchi allora
Stavo a spïar ogni leggiero moto
Della giacente, che a’ rumor seguisse.
Nulla più intesi alfine: ella dormia.
Scesi dal letto, ad ogni piè sospinto
Ristando ed ascoltando; piano piano
Con infinito studio chiusi l’uscio,