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d’un figliuolo. Eh, t’ha' ragione di fare a tuo modo; si vede proprio che mi vuoi far morire!» «Io non so altro», disse egli alzandosi a un tratto, «che lo vo’ tener io; andate dal pretore, e poi vedrete!» — «Pietro, via Pietro, porta rispetto a tua madre», prese a dire la Maria, «questa cosa non può stare; lo vedi quanta miseria abbiamo addosso! Come si fa a mantenere una creatura!» Pietro intanto, cheto cheto, accese un lume, e tranquillamente uscì dalla stanza col bambino tra le braccia. La casa era di tre stanze; veniva prima la cucina, accanto era la camera delle donne, e l’ultima, un piccolo stambugino, ricoverava Pietro. Un letto ed una seggiola erano i soli mobili che vi fossero; la finestra tutta sconquassata, con l’impannate sfondate, da dove il vento passava liberamente. Pietro adagiò nel letto il bambino senza spogliarlo, lo copri con quanti panni aveva, ed appiccato il lume a un chiodo chiuse l’uscio, indi si pose ad acquetarlo brontolando fra i denti la solita ninna nanna. Pochi momenti dopo il bambinello si addormentava, e Pietro seduto al capezzale, mirava contento quel viso d’angioletto. Lisabetta e Maria frattanto cenavano favellando dell’accaduto; nissuna delle due si arrischiava a entrare nella stanza, del ragazzo, perchè sapevano che a stuzzicarlo in certi momenti, ne sarebbe avvenuta qualche scena. La Maria però volle provare a chiamarlo perchè mangiasse

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