a sera riusciva in un borro, e da questo con l’acqua a mezza gamba, carico di legna, se ne tornava a casa cantando a piena gola. Da coteste scorrerie Pietro per il solito riportava buon numero di graffi e scorticature; ma egli non ci badava più che tanto. Una sera verso le ventiquattro lo vidi seduto su di un muricciuolo, dove con un rozzo coltello stava scalfiggendosi un calcagno. «Che cosa fate costì, Pietro?» gli domandai «Non lo vedete?» mi rispose: «cerco un pruno che mi s’è proprio confitto nella carne; e se non lo levo, i’ non duro a camminare.» Si poteva arguire dal sangue versato, che egli da valente chirurgo avesse preso a fare un’operazione sul serio. Qualunque fosse la stagione, gelasse o diluviasse, Pietro fuorché al tempo delle mute dei soldati non lasciava le sue scorrerie per la campagna. Appena coperto, e sempre a piedi nudi, egli, salvo il capo, esponeva il suo corpo a tutte le intemperie; e che del capo prendesse special cura, lo dimostrava la quantità di cappelli che aveva al suo comando: era proprio una raccolta e di foggie stranissime, e tutti di propria fattura ed invenzione. A Monte Lupo, paese dove si lavora molto la paglia da cappelli, tutti sanno fare la treccia, e Pietro per uso proprio soltanto poneva mano a questo lavoro; ed anche se li cuciva, ora colla tesa stretta, ora larghissima, voltata per l’insù o per l’ingiù, a punta