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capitolo quarto. 91

sollevar la quale si fa contribuire anche me; annulla il mio diritto ad un libero sviluppo intellettuale e morale, circondandomi di pericoli e indebolendo e rendendo immorale la società, da cui ho diritto di esigere ajuto e soccorso.» Tale sistema dei diritti sociali, che giammai senza dubbio era stato così nettamente formulato, si riduce, in sostanza, a questo: diritto sociale assoluto per ciascun individuo di esigere che tutti gli altri agiscano in ogni cosa precisamente come dovrebbero: chiunque manca menomamente al suo dovere, viola il mio diritto sociale e mi dà ragione di chiedere alla legge un rimedio a questo male. Un principio così mostruoso è infinitamente più pericoloso che qualunque isolata usurpazione a danno della libertà; non v’è violazione di questa che con esso non si possa giustificare. Esso non riconosce nessun diritto a nessuna libertà salvo forse quella di professare in segreto delle opinioni senza palesarle mai; perchè dal momento che alcuno emette una opinione che io considero dannosa, viola i diritti sociali dall’Alleanza riconosciutimi. Questa dottrina accorda a tutti gli uomini vicendevolmente un interesse determinato nella loro perfezione morale, intellettuale e persino fisica, che ciascun d’essi deve definire secondo il proprio criterio.

Un altro esempio notevole di violazione della giusta libertà dell’individuo, che non è una semplice minaccia, ma una pratica dominante ed antica, è la legislazione del riposo festivo. Senza dubbio alcuno, astenersi dalle occupazioni ordinarie un giorno la settimana, per quanto lo concedono le esigenze della vita, è un’abitudine altamente salutare, sebbene non sia un dovere religioso che per gli Ebrei. E poichè questo costume non può essere osservato senza il consenso generale delle classi operaje, e qualcuno lavorando potrebbe imporre agli altri la necessità di fare lo stesso, è forse ammissibile e giusto che la legge garantisca a ciascuno l’osservanza generale dell’abitudine sospendendo in un dato giorno le principali operazioni dell’industria. Ma questa giustificazione, fondata sul diretto interesse che hanno gli altri o che ciascuno segua tale costume, non si applica alle occupazioni che una persona si sceglie da sé e a cui crede conveniente dedicare le sue ore d’ozio; aggiungo che non si applica menomamente di più alle restrizioni legali imposte ai divertimenti. E vero che il divertimento di qualcuno può essere, nel giorno di festa, il lavoro di qualche altro; ma il piacere, per non dire l’utile ricreazione d’un gran numero, val bene il lavoro di qualcuno, purché l’occupazione sia scelta liberamente e possa essere liberamente abbandonata. Gli operai hanno perfettamente ragione di pensare che se tutti lavorassero la domenica, si darebbe il lavoro di sette giorni pel salario di sei: ma dal